sabato 3 dicembre 2011

02-12-2011
- GIONATA MIRAI live @ Cooperativa Portalupi -
Vigevano (PV)

Macchine parcheggiate lungo la strada su entrambi i lati della carreggiata, in parcheggi improvvisati e in anfratti scoperti per l'occasione, rendono più difficoltoso del solito l'arrivo alla Sforzesca, frazione di Vigevano, a sud dell'abitato cittadino, sulla strada che porta a Pavia, tra le campagne teatro dello scontro combattuto fra Piemontesi ed Austriaci nell'omonima battaglia  durante la Prima Guerra di Indipendenza. 23 marzo 1849. Il Risorgimento per unificare l'Italia. Camminiamo nello sterrato poi, guadagnato l'asfalto, mano a mano che ci avviciniamo alla cooperativa, sentiamo il vociare intenso e campestre, ipotizzabile visto il sopraccitato numero di vetture. Guadagnato l'ingresso, dentro c'è quello che non ti aspetti: una enorme tavolata ricca di commensali e altri tavolini tutt'intorno, anch'essi pieni di vita e suoni. Nella sala accanto stanno già suonando da qualche minuto. È il buon Angus Mc Og, alias Antonio Tavoni, ad aprire la serata musicale. Solitario, chitarra acustica in mano, umile e bonario, tra un brano e l'altro tratto dal buon esordio ANORAK, ci racconta le sue esperienze di vita, tra Italia e Australia, tra le stradine impervie delle provincia e i palchi a cielo aperto. È folk, un ottimo folk che forse meriterebbe una serata da headliner in un futuro prossimo venturo, in cui Iron & Wine va a braccetto con Neil Young in una primaverile scampagnata nella pianura padana, con le Highlands scozzesi nel cuore.

Ci avviciniamo un poco al palco, cercando un posto magari defilato, ma in ogni caso più vicino. Accanto a noi, seduto su un tavolo, confuso con gli altri avventori lì intorno e per questo inizialmente mimetizzatosi agli occhi dei più, c'è Gionata Mirai, baffo e occhiale anni '70 a caratterizzarne il volto. Al termine del set e in pieno cambio palco, il chitarrista esce per prendersi una boccata di tabacco, tornando in sala intabarrato nel suo spolverino pochi istanti prima della conclusione dei One Color Chameleon, saliti sul palco in duo acustico con il fomentatore di folle Riccardo Basla alla chitarra e lo scricciolo Monica Cadenini alla voce. Quest'ultima, già vocalist per i locali Dark Veneris, è, nonostante l'ancora giovane età, nettamente maturata rispetto agli anni gotici e la scelta di continuare a proporre brani propri anche con questa nuova avventura premia il coraggio a discapito però della forma. Almeno questa sera. Mancando infatti la sezione ritmica (il batterista Luca Siani è solamente in prima fila a filmare alcuni passaggi dei suoi compagni) per precise ragioni organizzative che consentono di dare un filo logica alla serata, pezzi come Endless Ways To Cross The Road o Just Move Freely And Nothing Else al primo ascolto perdono in incisività e potenza sonora, ma, fortunatamente, guadagnano in intensità emotiva, anche quando la corrente fa le bizze con la chitarra di Basla, risultando del tutto autosufficienti.

Gionata compare nelle retrovie della sala. Un ultimo pezzo poi tocca a lui. Ancora pochi l'hanno riconosciuto nel buio della sala, ma quando sale sul palco per settare lo strumento, una Taylor 455 dodici corde per mancini, e le luci sono tutte per lui, anche dai posti di rincalzo avanzano i più curiosi, sostando sulla immaginaria linea di confine tra palco e spettatori.
"Se vogliamo pensare di fare la rivoluzione bisogna che si abbiano le idee chiare su dove vogliamo arrivare. Di base bisogna aver il desiderio di qualcosa di più bello in cui vivere. Facciamo che per i prossimi ventitre minuti ognuno pensa a come sarebbe bello vivere semplicemente facendo qualcosa che ci piace. Cercate di capire cosa vi piace perché così dopo, magari, possiamo anche fare la rivoluzione" Così si pronunciava Gionata meno di una settimana fa durante la prima assoluta di ALLUSIONI al Cox di Milano. Stasera il discorso introduttivo è molto simile. Cambia il minutaggio dichiarato, ma c'è sempre un'urgenza nelle parole pronunciate dal frontman dei Super Elastic Bubble Plastic che ti fanno percepire la necessità di essere lì e non altrove, la volontà di metterci non solo la faccia, ma il proprio io tutto, come se ne andasse del destino dell'umanità, in uno slancio titanico che la suite Allusioni, nei suoi ventiquattro minuti successivi, sintetizza e diffonde nell'aria. L'arpeggio continuato che Mirai esegue senza soluzione di continuità, anche dal vivo regala, chiudendo gli occhi, un brivido che ipnotizza tutto e tutti. Si superano le barriere dello spazio e del tempo. Si viaggia con la mente nei luoghi più remoti del globo e dell'universo. Il silenzio viene rotto solo da alcuni fastidiosi incompetenti che anziché andar a fare quattro ciacole al bancone del bar si fermano dove non dovrebbero, ricevendo, sempre mentalmente ché la magia della Musica non dev'essere interrotta dalle parole, una scarica di insulti e improperi.

Ci risintonizziamo sulle frequenze allusive. Mirai è sempre concentrato. Composto e pervaso dal sacro furore che scorre nei fraseggi sulle corde. Vive dall'interno il suono che produce e lo rimanda visivamente al di qua del palco attraverso il ritmo sussultorio e costante della sua gamba destra, nervoso e sorprendente metronomo a scansione umana, mentre le dita disegnano sul manico della chitarra astratti percorsi matematici. È il loro istantaneo rallentamento ad indicare il termine dei cinque movimenti. Gionata si schermisce sottolineando qualche errore, peraltro sostanzialmente non avvertito, durante l'esecuzione, ma l'impressione di perfetto simbiosi tra sogno e realtà permane anche ora che la domanda più pressante diventa "E adesso? Come si andrà avanti?". Nessun timore. Bisogna stare al mondo senza paura. Il messaggio è chiaro e arriva diretto attraverso il secondo brano in fingerpicking proposto. Si tratta di un breve frammento studiato e composto per la colonna sonora dello spot legato al progetto A Wor(l)d For Japan, contributo di solidarietà compiuto concretamente a parole in favore delle popolazioni colpite in Giappone dallo tsunami dell'11 marzo scorso. Partito come una semplice richiesta di invio messaggi affinché le vittime della tragedia nipponica possano aver la consapevolezza di non essere sole anche e soprattutto durante gli anni della ricostruzione, il breve attestato di solidarietà ai sopravvissuti commissionato dalla E-Talentbank Japan, azienda di comunicazione di Tokyo, diventa un mini spot di due minuti musicato proprio dal chitarrista de Il Teatro Degli Orrori che trova la cifra stilistica migliore attraverso la sua dodici corde.

Spiazza un po' tutti questa esecuzione, ma, come il ciclo vitale di una farfalla, è talmente breve il lasso di tempo in cui nasce e muore che è già momento del terzo brano. Un senza titolo, una canzone in cerca d'autore, una base, come ci spiega lo stesso Gionata anche con ampi gesti delle braccia, su cui un giorno nascerà una canzone vera e propria, ma che per ora, dopo una infinità di tentativi andati a vuoto con altri musicisti, vive comunque di una sua dimensione unica e speciale, felice di bastare a sé nel crescendo dinamico della melodia e dell'arpeggio conclusivo. Mirai continua assorto nel suo mondo. "Dialoga" con la chitarra. A smorfie. Osserva tutto d'intorno. Poi poggia lo sguardo su di te. Ti fissa. Sembra guardarti, ma non ti vede. Ti attraversa con lo sguardo. Rapidamente o con maggior intensità. E va oltre, in una simbiosi tra suonatore e oggetto suonato quasi mistica. In chiusura di serata ecco un ukulele e le sue quattro corde essenziali da cui proverranno, di lì a poco, le note prodotte quasi in punta di piedi per quella che risulterà essere la miglior chiusura possibile per lo spettacolo di Mirai. La delicatezza del suono prodotto è un toccasana dopo le vertiginose corse in fingerpicking e l'abbandono alla carezzevole melodia di questa nenia è totale. Viene così il momento dei saluti e dei ringraziamenti. È la buonanotte. Per noi non c'è tempo di restare un minuto di più. Gionata lo sa. Ci allontaniamo nel cuore della notte in direzione Gallarate lasciandoci alle spalle i rumori che affolleranno di nuovo l'ambiente interno della Portalupi. Fuori fa freddo. Arriveremo consapevolmente tardi ad un altro appuntamento, con la foschia e la nebbia trovate lungo il viaggio a proteggerci dalle luci dei lampioni e a nasconderci ai fari delle altre automobili. Una scelta di campo. Per stare comunque uniti. Per il nuovo Risorgimento.

Andrea Barbaglia '11

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