lunedì 2 aprile 2012

in concerto

01-04-2012
- MAURO ERMANNO GIOVANARDI & MASSIMO COTTO live @ Foro Boario -
Nizza Monferrato (AT)

VISIONARIA (Lampi di Musica e Teatro) è l'inedita rassegna culturale, giunta al suo debutto in questo problematico 2012, voluta e organizzata dalle intraprendenti forze congiunte della Pro Loco di Nizza Monferrato e della Compagnia Teatrale Spasso Carrabile in collaborazione con la Fondazione Davide Lajolo e il Comune della cittadina piemontese. Nel corso delle diverse serate che da gennaio si sono fino ad oggi succedute con cadenza mensile hanno trovato spazio le avventure musicali del Suonatore Jones, alias Vittorio De Scalzi; si è materializzato il percorso tra demonio e santità in compagnia di Alberto Fortis e Patrizia Camatel; sono tornati in auge quei favolosi Anni '60 con Rifatti Mandare Dalla Mamma, brillante spettacolo messo in scena dalla Compagnia Teatrale Carovana. Questa notte, per una notte soltanto, riapre il Chelsea Hotel. Chi è avvezzo alla Storia della Musica sa già di cosa stiamo parlando e su cosa verterà l'argomento della trattazione. Per molti altri sarà invece l'occasione per scoprire una realtà sfaccettata, intrigante e pruriginosa fatta di droga, sesso e rock'n'roll da un lato, amore e morte dall'altro. Portiere di notte sarà Massimo Cotto, voce narrante e custode dei misteri racchiusi nelle mure dell'edificio newyorkese, abile nel tracciare le linee guida del racconto con una parlata chiara e uno stile narrativo lineare. La prima fila è riservata. Solo apparentemente vuota. Piace pensare infatti che su quelle poltroncine si accomodino uno ad uno gli spiriti dei grandi artisti evocati dai racconti del giornalista astigiano, presenze ultraterrene confuse nella penombra della platea, giunte per assistere, ospiti d'onore, allo spettacolo loro dedicato. Anche sul palco volutamente spoglio la luce è fioca. Una poltrona, un tavolino con una bottiglia e un bicchiere, una lampada. Benvenuti.

Fare conoscenza con gli avventori del Chelsea non è così difficile. Cotto ci illustra vicende e personaggi, cita episodi e snocciola date. Poi cede il passo all'altro Virgilio che accompagna lui e noi in questo viaggio nella memoria e nella leggenda. A Mauro Ermanno Giovanardi spetta il compito di evocare gli umori della storia attraverso una selezione di canzoni ad hoc, eseguite in compagnia del fidato Matteo Curallo sorprendendo l'ascoltatore e annullando la distanza tra spazio e tempo. Così tocca ad una sulfurea Femme Fatale, omaggio a Edie Sedgwick interpretato in origine da Nico coi Velvet Underground di Lou Reed e John Cale nel loro celeberrimo disco di esordio, aprire le danze della serata, carezzando l'aria originariamente intrisa di good vibrations, ma ben presto sempre più carica di suggestioni antimilitariste che sarebbero sfociate nella contestazione del '68 e ora sottolineate dall'omaggio sul finale a John Lennon. È nuovamente il turno di Cotto il quale, cubo di Rubik alla mano, ben presto legittima il suo ruolo di guida consentendoci di incontrare nella stanza 822 una giovane Louis Veronica Ciccone che di lì a qualche anno tornerà in quegli stessi ambienti del Chelsea Hotel per realizzare alcuni scatti racchiusi nel suo controverso book fotografico Sex; e per poco non veniamo spintonati a terra da Herbert Huncke, tossicodipendente che influenzò la poesia Urlo di Allen Ginsberg, fuggito a rotta di collo giù per le scale perché convinto che William Burroughs fosse un poliziotto in borghese. Poco più in là vediamo una troupe cinematografica diretta da Adrian Lyne intenta a girare le ultime scene di 9 Settimane e ½ con Kim Basinger e Mickey Rourke; sostiamo curiosi. Poi, in fondo al corridoio, riconosciamo Arthur C. Clarke intento a scrivere quello che diverrà il suo capolavoro 2001 Odissea Nello Spazio, tradotto successivamente in immagini da Stanley Kubrick.
 
Gregory Corso e il già citato Ginsberg discutono calorosamente, sbraitano e si confrontano mentre Jack Kerouac, in pieno delirio creativo e imbottito di chissà cosa, è al terzo giorno di scrittura su rotoli di carta igienica della prima stesura di Sulla Strada. È il delirio. Tutti, parafrasando Patti Smith, "hanno da vendere la parte migliore di sé" in questo gigantesco mercato all'aperto che è il Chelsea. Curallo e Giovanardi si lanciano in una delicata versione pianoforte e voce di I Wanna Be Your Boyfriend dei Ramones. C'è un bellissimo tramonto sul fiume Hudson. E ce n'è uno pure sugli anni '60. Noi siamo giunti in prossimità della stanza 411 mentre dall'ascensore ecco uscire sottobraccio, rumorosamente ridacchianti, Leonard Cohen e Janis Joplin. La porta si chiude all'istante. Ciò che accade lo apprenderemo di lì a qualche anno attraverso Chelsea Hotel #2, canzone che Cohen avrebbe inserito nel suo quarto album NEW SKIN FOR THE OLD CEREMONY e nella quale, dopo aver messo a nudo gli istanti di intimità condivisi, consegnerà agli annali le dirompenti liriche "we are ugly, but we have the music". A Joe il compito di ripercorrere musicalmente quegli istanti. Entriamo e usciamo dalle stanze in rapida successione come se fossimo i legittimi proprietari dell'intero stabile sorto sulla ventitreesima strada. Corriamo noi e corre il tempo. 12 ottobre 1978. Stanza numero 100. Altre due persone. Un letto. Un bagno. E molto sangue. Troppo sangue. Sid Vicious e Nancy Spungen. È omicidio.

Il caos che regna sovrano nell'hotel non aiuta di certo a ricostruire l'accaduto. Sid è arrestato con l'accusa di avere accoltellato la fidanzata. A febbraio dell'anno seguente fa in tempo a scontare la detenzione in carcere poco prima di uscire definitivamente di scena da questo mondo a soli ventuno anni. Due vite spezzate accomunate da un tragico destino. They did it My Way. Per nulla turbato dal clamore della vicenda l'incisore Alpheus Philomen Cole deciderà di mantenere il suo domicilio al Chelsea fino al 1988, respirando vizi (molti) e virtù (artistiche) nei trentacinque anni di permanenza in quel di New York City. Nell'immediato dopoguerra è possibile incontrare addirittura Édith Piaf da queste parti, stanza 103. Alla ricerca di una tranquillità tanto agognata, l'angelo nero della canzone, come la ribattezzò l'amico Jean Cocteau, si illudeva di aver trovato quella normalità dell'esistenza nell'amore per il pugile Marcel Cerdan. Ma non può sapere che si tratta di un amore tragico. Tra il 27 e il 28 ottobre 1949 l'aereo con a bordo il pugile francese in volo per New York si schianta contro una montagna all'altezza delle isole Azzorre. Per la Piaf si spalanca il baratro dell'alcool e della morfina. Faranno seguito due matrimoni e le trionfali esibizioni presso l'Olympia di Parigi. Poi nel 1963 il decesso a causa di una broncopolmonite che ne mina il fisico minuto roso dal cancro. La più grande di tutte, allattata a vino, cresciuta in un bordello, prostituta mancata, regina dei dolori.

E mentre Mauro Ermanno Giovanardi continua a ricevere applausi, questa volta per la sua interpretazione de La Vie En Rose, noi, in attesa di essere raggiunti dal cantante lombardo, ci soffermiamo ancora un poco nei pressi della camera 103 prima di scendere al bar di questo Albergo A Ore, ripercorrendo con altri illuminanti flashback gli ultimi istanti di Édith, su e giù dal palco, ragionando un poco in disparte rispetto alla folla che continua ad animare il Chelsea sulla grandezza e la tragicità che possono risiedere talvolta in una sola persona. Armati di una polaroid decidiamo di cambiare aria per qualche momento e puntiamo diretti in metropolitana a Coney Island, Brooklyn, ad est di Manhattan, dove sulla promenade ci imbattiamo in due ragazzi che camminano mano nella mano, l'oceano da una parte, le luci delle giostre dall'altra. Patti Smith e Robert Mapplethorpe nel pieno dei loro anni sono l'emblema e l'affresco di un'epoca raccontata meticolosamente da Cotto mentre Curallo lo accompagna al piano con una strumentale Because The Night. L'intervento di Giovanardi porta all'esecuzione di una partecipata Dancing Barefoot per sole chitarra e voce, seguita di lì a poco dall'omaggio a Robert Zimmerman con il simpatico duetto "nasale" e a cappella tra l'ex cantante dei La Crus e il giornalista astigiano sull'aria di Mr.Tambourine Man. Proprio uno tra i più celebrati songwriters americani, preso in prestito da un altro avventore del Chelsea Hotel (il poeta beat Dylan Thomas) il proprio cognome d'arte, si aggira per gli spazi della struttura, tutto intento nella stesura di una canzone da dedicare quasi in incognito alla moglie Sara Lownds. Sembra inarrestabile il flusso continuo di coscienza con cui Bob Dylan, dalla stanza 211, scrive, amplia e corregge quella che diventerà Sad-Eyed Lady Of The Lowlands, più di undici minuti di cuore a nudo.
 
Quello stesso flusso di coscienza che animerà decine di canzoni successive fra cui pure Sara, questa volta esplicita dedica in musica alla, nel frattempo, ormai ex signora Zimmerman, nel tentativo di riconquistarla e posteriore solo di qualche anno. Ce la farà nel suo intento? The answer, cari tutti, ce la svela in parte il buon Giovanardi, per l'occasione all'armonica: it is Blowin' In The Wind. Cuore altrettanto affranto, di ritorno alla maison dopo una giornata trascorsa chissà dove, è lo scrittore e drammaturgo Arthur Miller che per esorcizzare l'ossessione per la ex moglie Marilyn Monroe, morta suicida nel 1962, trova ispirazione dalla sua esperienza personale nella scrittura del dramma Dopo La Caduta, opera teatrale dal forte taglio autobiografico. Un poco a sorpresa Joe si sostituisce alla narrazione attaccando con Il Vino, tra i più grandi successi (mancati) di Piero Ciampi, poeta, cantautore e anarchico livornese già omaggiato con una rilettura proprio di questo stesso brano dai La Crus ai tempi del loro disco d'esordio. È una licenza poetica voluta, s'affretta a comunicare alla platea Massimo Cotto, perché Ciampi, pur non avendo mai abitato a New York né tantomeno al Chelsea, si sarebbe trovato benone con i suoi ospiti; lui spirito libero, chansonnier maledetto e dannato, artista troppo spesso vittima dei fumi dell'alcool, figura eccentrica e tragica, in anticipo rispetto ai tempi e ai costumi italiani. Uomo burbero e litigioso. Emarginato. Spirito affine a quel Dylan Thomas di cui facciamo finalmente diretta conoscenza sull'ingresso della hall mentre, barcollante, si dirige in camera sua, la 205, sei stanze prima della camera di Mr.Zimmerman. Scopriremo il giorno dopo che è reduce dal diciottesimo giro di whiskey, consumato come di consueto presso il White Horse Tavern, all'angolo con l'undicesima strada.

E che dire delle tre visite del dottor Feltenstein nelle ventiquattro ore successive per tentare di rimettere in sesto il poeta ormai ad un passo dal collasso? Collasso che regolarmente si manifesta dopo l'assunzione di morfina prescrittagli dal luminare. All'1:58 del 5 novembre 1953 si cerca il ricovero in ospedale. Dopo quattro giorni di coma la morte arriva per, così scrivono sul referto medico, "insulto al cervello" dopo che tutta la sua vita fu un insulto alla normalità. Basta leggere i componimenti scritti dall'autore gallese per rendersene conto. Attoniti ascoltiamo pure il trepidante racconto del viaggio effettuato da Cotto, ora sedutosi in solitaria sul bordo del palco quasi a volerci rendere partecipi in maniera esclusiva della sua storia personale, in compagnia di Franco Battiato in America qualche anno fa, occasione per fare tappa e prendere temporaneamente una stanza al Chelsea respirando l'aria di questo pezzo di cultura pop. Un'esperienza sviluppatasi tra improbabili individui, opere d'arte esposte nella hall, sogni, odori e ricordi. Ma è la felicità. Quella vera, unica, che così poco spesso ha modo di concretizzarsi nel quotidiano, ma che pur nella sua tragicità ha abitato invece le pareti dell'hotel più vissuto nella storia della musica, le ha arricchite, ne ha garantito fama e notorietà quasi imperitura. Anche oggi che sono subentrati i cinesi, con i dollari, per dare inizio a lavori di ristrutturazione che ne scalfiranno la forma, ma sicuramente non la leggenda.

Sulle note di Chelsea Hotel #2 ecco Giovanardi avvicinarsi all'amico e abbracciarlo fraternamente mentre Matteo Curallo, alle loro spalle, accompagna questi istanti con la chitarra. Un ultimo ricordo è per Stanley Bard
, paziente e scaltro gestore della struttura ricettiva, allontanato dalle sue funzioni nel 2007 e qui menzionato per aver cacciato un solo individuo fra i tanti che probabilmente altrove avrebbero meritato uguale trattamento. Si tratta di Valery Solanas, artista tormentata del New Jersey, dall'infanzia e dall'adolescenza problematiche, la quale, presa dimora in quel di New York nel 1966, entra in contatto con Andy Warhol convinta di venir da lui prodotta per il suo dramma teatrale Up Your Ass. Di fronte al rifiuto del capo della Factory cominciano le aggressioni verbali e fisiche nei suoi riguardi, con appostamenti e minacce talmente gravi da spingere per l'appunto Bard a cacciarla dal Chelsea. È la goccia che fa traboccare il vaso dell'insanità mentale della Solanas che, armata di pistola, attenta alla vita di Warhol riducendolo in fin di vita nel 1968. Mentre il regista della Pop Art subirà un delicato intervento al cuore per evitare la prematura dipartita terrena conservando i postumi dell'attentato negli anni venturi, la Solanas se la caverà in fondo con poco (tre anni) visto che l'artista newyorkese, al momento del successivo processo, non vorrà testimoniare contro la sua assalitrice. Ennesima storia che ha dell'incredibile nel turbinio folle che ha avvolto gli anni migliori e peggiori di una, forse due, stagioni irripetibili. Un'epoca dalle grosse speranze macchiate troppo spesso col sangue in quel crocevia di eventi, in quella fiera dell'accaduto dove tutto era ancora possibile. Come non restarne comunque affascinati a distanza di anni? La chiusura dello spettacolo spetta così alla malinconica Can't Help Falling In Love ideale sintesi delle nostre vite che raccoglie in un unico abbraccio volti, figure, vicende, decadi intere, indimenticabili e passate alla storia. Halleluja.
 
Andrea Barbaglia '12

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