martedì 13 novembre 2012

10-11-2012
- STEVE VAI live @ Gran Teatro Geox -
Padova (PD)

Anche questo weekend diluvia abbondantemente sulla nostra music road. Oltre tre ore di viaggio "allietate" da una pioggia incessante e da raffiche di vento importanti ostacolano solo in parte il chilometraggio che ci separa da quel piccolo grande gioiellino acustico che è il Gran Teatro Geox di Padova. Da qui prende infatti avvio la tre giorni italiana di Steve Siro Vai, funambolico guitar hero di fama mondiale che non necessita certo in questa sede di presentazione alcuna, ma che fa sempre piacere ricordare sia legato al Belpaese da un cordone ombelicale unico, dovuto alle sue origini lombarde, pavesi per l'esattezza, e che appunto torna oggi a calcare il suolo italico a soli tre mesi e mezzo dall'ultima tappa con il suo G3 in quel di Vigevano quando, nel luglio scorso, trascorse con moglie e figli gran parte della giornata a Dorno, paese natale dei suoi nonni, per riceverne la cittadinanza onoraria. Le ultime notizie prima dello sbarco in Europa hanno purtroppo fatto registrare una defezione nell'organico del bill. La polistrumentista e cantante Beverly McClellan, che dopo l'ottima accoglienza nella tranche americana del tour, in un primo momento era stata confermata e annunciata come opener pure nel corso delle imminenti date europee, è stata infatti costretta a dare forfait per motivi familiari tre giorni fa, al termine delle date in Turchia. Difficile pianificare una sostituzione. Vai e la sua band basteranno a sé stessi e alle oltre 1600 persone accorse per assistere al tour in supporto a THE STORY OF LIGHT.

È l'imponente occhio della scenografia che riproduce la copertina della sua ultima fatica in studio a scrutare nell'oscurità del parterre patavino prima che una scarica di luci, fumo e clangori metallici annunci l'arrivo dell'atteso chitarrista. Steve Vai sale sul palco di nero vestito, con un paio di pantaloni dagli accesi disegni floreali che, a tutta prima, riportano alla mente il celebre dragone ricamato sull'abito di un Jimmy Page d'annata immortalato nel concerto dei Led Zeppelin all'Earls Court di Londra nel 1975. Cappello e occhiali di scena coordinati, il longileneo artista di Carle Place apre le danze con le nuove Racing The World e Velorum, elaborate composizioni provenienti dal secondo capitolo della trilogia iniziata con REAL ILLUSIONS: REFLECTIONS, dopo il primo cambio di chitarra e al termine di una breve introduzione accolta dall'ovazione della folla. Sempre un po' eccessivo nelle pose, ma dotato di una straordinaria classe innata, Vai cammina, si dimena, balla e svisa lungo tutto l'asse orizzontale del palco, senza soluzione di continuità, ammiccando alle prime file, elargendo sorrisi e smorfie, prodigandosi nei virtuosismi per cui è celebrato. Senza perder tempo in lunghi convenevoli la presentazione dell'eccellente quartetto che lo accompagna si fonde nella mastodontica Building The Church, occasione per un duetto tra l'Ibanez EVO, in tapping, e l'arpa elettrica della veterana Deborah Henson-Conant, al suo primo tour con Vai. Il prolungato vibrato degli assoli susseguenti regala nuovi brividi. 

Un balzo indietro nel tempo con le lancinanti note blues di Tender Surrender quindi un altro capitolo dalla saga della luce: la ritmata progressione strumentale e le sfrenate ripartenze di Gravity Storm illuminano la serata e fanno da preambolo al successivo spazio solista affidato al navigato Dave Weiner, al fianco di Vai dal lontano 2000. Armato di una PRS acustica e lasciato in solitaria sul palco, il trentaseienne chitarrista americano, fresco di release estiva, si prodiga in una sequenza strumentale tratta dal nuovo COLLECTION OF SHORT STORIES: VOL.1. da cui esegue l'ariosa The Four Winds. Nel mentre, cambio d'abito per Vai e ultimi bagliori provenienti da THE STORY OF LIGHT con la tonante Weeping China Doll seguita dalla dolci note di The Moon and I, "...a song about freedom", primo momento cantato della serata e, in quanto incantevole melodia per chitarra, posta come tradizione vuole al settimo posto della setlist. Da qui in avanti è un continuo pescare a piene mani nella storia dell'artista italo-americano, spaziando tra momenti irrinunciabili e sorprendenti ripescaggi. Si comincia con PASSION AND WARFARE e l'energetica The Animal; quindi è la volta di una dilatata Whispering A Prayer, la canzone dedicata all'Irlanda contenuta originariamente nel doppio ALIVE IN A ULTRA WORLD, per poi tornare al 1990 con l'imprescindibile heavy-boogie selvaggio di The Audience Is Listening, magistrale dimostrazione di tecnica superiore coniugata a una sempre più naturale e consumata abilità di intrattenitore. 

Un attimo di quiete per il prodigioso musicista mentre l'atteso assolo per arpa elettrica e contrabbasso is on the line. La maestria di Deborah Henson-Conant, fin qui tutto sommato un poco in ombra, unita qualche istante più tardi alle poderose note grevi provenienti dallo strumento dell'ottimo Philip Bynoe, autentico maestro del basso sei corde, ammaliano i fans che si lasciano coinvolgere dalle celestiali note discese in Terra grazie alla pizzicatura delle corde dell'insolito strumento. "Are you having a goodtime so far tonight?" domanda il redivivo Vai, di rientro dalle quinte poco prima di ritagliare all'interno del concerto un inatteso momento semi-plugged. Accomodatosi su uno sgabello, in sinergia con i suoi musicisti, eccolo all'acustica e al microfono per una Rescue Me Or Bury Me dal finale nervoso, unica gemma proveniente dal folle SEX & RELIGION, e legata ad uno stralcio di Sisters su cui duettano in fraseggio le chitarre dello stesso Vai e di Weiner, prima del suggello finale affidato al contrabbasso di Bynoe. È in questo istante che ci si accorge dell'assenza di Jeremy Colson, batterista non nuovo da queste parti avendo accompagnato l'ex Generation X Billy Idol nella riuscita data di Piazzola sul Brenta a inizio luglio. Con aria divertita Vai invita il pubblico a chiamare a gran voce il piccolo drummer finito chissà dove; Padova non si fa pregare e il faticatore del ritmo risponde alla chiamata presentandosi on stage indossando un luminosissimo set composto da piatti, percussioni e batteria elettronica.

Così bardato, e dando spazio al fumoso teschio parlante eyes-without-a-face che anima l'attrezzatura, dopo un apprezzato siparietto comico con Vai, Colson si cimenta in compagnia dell'axe man in Treasure Island e, con il supporto di tutta la band, nella rilassata Salamanders In The Sun seguita dall'arabeggiante Pusa Road. Il successivo, potente, assolo di batteria è la degna conclusione dello spazio riservato al biondo batterista. Per The Ultra Zone Steve supera invece sé stesso quanto a coreografia e presenza scenica. Nella cortina di fumo che avvolge il palco avanza tra le luci epilettiche del palco un cyborg alieno, messaggero intergalattico le cui lunghe dita luminose poggiano sull'Emerald Ultra guitar, avveneristica e cangiante creazione di vetro e carbonio a sei corde il cui design, realizzato dall'irlandese Alistair Hay, prende spunto dall'illustrazione che Aaron Brown fece per la copertina di THE ULTRA ZONE, il futuribile album del 1999. Carico di luci che ne delineano la sagoma e il corpo, Steve Vai lascia tutti a bocca aperta in questa veste extraterrestre dalla quale si libera solo per omaggiare il mentore Frank Zappa nell'omonima Frank. Capace di rinnovare la propria musica e il proprio personaggio senza essersi mai adagiato su facili formule comode e redditizie né aver mai fatto della convenienza la propria ragione d'essere, Vai passa allo step successivo chiamando sul palco un terzetto di ignari spettatori. È il momento di musica componibile con l'improvvisazione di Build Me A Song.
 
Su suggerimento degli ospiti e imbeccata dalle successive dritte di Steve, la band arrangia, musica ed esegue in diretta, in una parola "costruisce" gli spunti sonori proposti dai ragazzi con la loro nuda voce. Istanti di stupore e meraviglia. La libera interpretazione e l'imprevedibilità stessa di un canovaccio assolutamente inatteso e ogni sera a suo modo unico e irripetibile, permette tanto di interagire con l'audience quanto di mantenere sempre alta l'attenzione dopo quasi tre ore di concerto. Perché la musica è anche un gioco. Poi, ultimo cambio di chitarra ed è l'apoteosi, con l'orchestrazione di una sempre maestosa For The Love Of God che avvolge nelle sue melodie e nei suoi passaggi più ardui il Gran Teatro Geox e quanti attendono l'imminente conclusione della serata (anche solo per lavoro) nel foyer lì adiacente. Le note scorrono fluide, legate dall'abilità del suo esecutore che per quasi un quarto d'ora tiene in pugno tutti quanti prima di abbandonarsi ad una scoppiettante chiusura col botto affidata al bis richiesto a gran voce di Taurus Bulba. Soddisfazione. Questo è il sentimento principe della serata. C'è tempo per un rigenerante drink e una attenta occhiata al merchandising. Quindi è già tempo di rimettersi al volante e tornare a macinare chilometri su chilometri. La pioggia diventa presto nostra compagna di viaggio, eppure nell'oscurità della notte una luce all'orizzonte annuncia una domenica di tutto sole. "I have been blessed. Thank you."
 
Andrea Barbaglia '12
 
gli scatti pubblicati sono opera di Marco Peruzzo per Zed! Entertainment

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