venerdì 23 novembre 2012

22-11-2012
- MANZONI live @ Magnolia -
Segrate (MI)

Stre-pi-to-si. Ma stre-pi-to-si davvero!! Troppo spesso capita di ascoltare nuovi album e cd in genere ben prodotti, ben confezionati, ineccepibili dal punto di vista della registrazione; insomma, formalmente di ottima fattura. A quel punto un ascoltatore, che piace pensare essere solamente distratto e non superficiale, potrebbe essere tratto in inganno e, nel tessere labili lodi magnificando l'autore di un prodotto simile, potrebbe scordarsi però dell'impatto e della resa dal vivo che questo spesso non ha. Ormai la prova del nove per capire quanto un lavoro discografico sia realmente, come del resto dovrebbe essere, opera di un Artista con la "A" maiuscola, è questa. Il palco. I ManzOni superano senza grosse difficoltà questa sfida; anzi, dopo averla raccolta, vinta e fissata nel bagagliaio mai colmo dell'esperienza, rilanciano, mettendo in campo con una naturalezza fuori dal comune una formidabile capacità poetica mista a una passione genuina per il proprio lavoro. Ogni loro concerto diventa così un piccolo evento. Questa sera tornano a Milano, in uno dei luoghi che solo due estati fa li ha visti per la prima volta salire su un palco importante e confrontarsi con tante altre realtà del panorama musicale italiano. È la seconda volta che capita quest'anno. Prima headliner di una serata di formazioni brucianti in un freddo giorno di fine gennaio; ora gruppo spalla, gregari di lusso degli attesi e più quotati, mediaticamente parlando, Offlaga Disco Pax.
 
A loro spetta il riscaldatissimo palco esterno del Magnolia (ancora non capiamo come mai solo sette giorni prima a Umberto Maria Giardini e a Matteo Toni toccò l'angusto spazio interno), riempito fisicamente con la loro anomala strumentazione impostata su quattro chitarre, una batteria e un leggio, e le loro inconfondibili figure. Raggiungere le transenne non è un problema. Sul palco Emilio Veronese, Gigi Tenca e Carlo Trevisan stanno sistemando le ultime formalità. Il live parte tra poco meno di cinque minuti. In quell'esiguo arco di tempo arrivano gli altri due chitarristi, Ummer Freguia e Fiorenzo Fuolega. Si percepisce un filo di tensione nel girovagare di Tenca, sempre meticoloso e autenticamente emozionato ad ogni comparsata sul palco, a fronte di una tranquillità e serenità d'animo generali conferite da una lucida consapevolezza dei propri mezzi. "Manzoni". Una sola parola per una presentazione essenziale introduce l'arpeggio di Trevisan che, presto raggiunto dal raddoppiamento acustico di Fuolega, sviluppa la nostalgica parabola di ricordi rievocati in A Mio Padre. Dietro, tocca a Freguia accompagnare con la batteria mentre Veronese interviene  con la sua Stratocaster solo dopo l'intermezzo ritmato a più mani e interrotto dalla scarica adrenalinica che attraversa e scuote Tenca da capo a piedi. Lo spettacolo che si para davanti agli occhi è folgorante. La navigata voce manzOniana vive ciò che canta, ciò che recita, ciò che narra. Parola dopo parola. Gigi Tenca è davvero uno di noi.
 
Eppure è anche la rockstar atipica che mancava in questo nuovo millennio. Testardo come un mulo, ma dal cuore grande così. Dal temperamento pasionario sebbene sinceramente dolce e mite. In una parola: vivo. Prima rivoluzione d'organico. Con tanto di Jazzmaster Freguia avanza sulla sinistra del palco sostituito alle pelli da Veronese; Fuolega, sempre seduto su una sedia in legno, passa alla SG. Il vortice rumoristico di Mario è oggi più che mai di scottante attualità. La rabbia del protagonista è la stessa di centinaia di disoccupati, precari ed esodati italiani che urlano tutto il loro disagio per una condizione sociale intollerabile quando non addirittura insostenibile per sé e i propri affetti. L'accalorata partecipazione alle vicende narrate è tale per cui presto anche il gilet bianco di Tenca viene smesso al termine del brano, mentre un altro foglio viene tolto dal leggio, appallottolato e gettato in terra con non curanza. Per tratteggiare l'espressionismo famigliare de La Toscana sono quattro le chitarre elettriche messe a disposizione dalla band polesana; anche Veronese torna infatti a fronteggiare il pubblico. Tenca resta tuttavia il centro focalizzatore del tutto. Il trasporto emozionale con cui pure il terzo brano in scaletta viene eseguito ha un sapore antico, ancestrale, appassionato e verace. È un cavallo che scalpita l'artista chioggiotto. Sofferente. Riflessivo. Meditabondo. Che cerca in ogni caso di tenere sempre conto dell'esigenza di comunicare, con passione, amore e calore umano
 
Ecco il concetto, calore umano; "serve all'Arte? Credo di sì, perché di tutte le furbizie con i colori, la musica, le parole non rimane niente se non c'è calore umano, adesione alla vita." Così parlava l'indimenticabile Augusto Daolio per spiegare il suo pensiero di artista a 360°, capace di abbracciare tanto la musica quanto la scultura e la pittura. Noi non abbiamo difficoltà alcuna ad applicarlo pure ai ManzOni perché è la medesima attenzione che Tenca rivolge ai suoi scritti ed è il sentire comune presente nelle trame sonore intessute dagli altri quattro imprescindibili elementi. Altro testo gettato a terra e nuovo incitamento del frontman per galvanizzare sé stesso e i suoi compagni di band. Tra loop, stratificazioni chitarristiche e arte povera siede al tavolo de La Garzantina lo spettro di Piero Ciampi. Trevisan gli cede il posto, accomodandosi alla batteria prima di affiancare nuovamente Freguia alla destra di un caracollante e impaziente Tenca. Con una scaletta incentrata sull'ultimo album arriva il momento di Scusami. Tra i momenti più onirici di CUCINA POVERA, la parabola d'amore scelta quasi in chiusura di set racconta un mondo quotidiano che è un piccolo universo, vissuto tra malinconia e scatti di passione mai sopiti, sottolineati col corpo dal suo cantore. Siamo in dirittura d'arrivo. Fuolega ripone l'acustica usata poco fa e si arma nuovamente della "diavoletto" che suonerà con un barattolo di ragù Star. La coppia Trevisan-Freguia è al suo posto come pure Veronese.
 
Tenca continua a guardare intorno a sé, lo sguardo sempre rivolto a terra, cogitante. Si passa in più occasioni una mano fra i capelli. Nessuno, una volta ancora - l'ultima - alla batteria. L'aria si fa cupa quando le prime note si diffondono nell'aria. Tensione anche nelle parole pronunciate con trasporto dall'ex cantante dei Maladives, giunto all'ultimo racconto della serata. E qui, ora, avviene la trasfigurazione. Il momento clou. Lo zenit. Le stratificazioni chitarristiche che fanno da base a La Strada raggiungono il climax nell'inarrestabile crescendo sonico degli strumenti che le producono, quelle stesse quattro chitarre che, ognuna seguendo la propria via, perseverano nella loro orchestrata corsa solitaria incontrandosi solo alla fine, in un punto geometricamente astratto dell'ambiente in cui sono percosse e suonate; buco nero elettrico e inesplorato dal quale fuoriescono nuove parole e nuovi suoni. Hic et nunc. Il fragoroso muro di suono cede il passo alle ultime riflessioni ritmate dalla batteria di Fuolega e dall'acustica di Veronese. "...e alla fine ti dirò che, fin quando vedrò quel sole tondo, ora rosso al tramonto,  starò lì a guardarlo e lo applaudirò." Una frazione di secondo di sospensione poi l'ultima parola: "ManzOni." Così come era iniziato. Trenta minuti per condividere una esperienza personale che trascende nell'universale prima di farsi nuovamente particolare. Vengono ancora alla mente le parole di Daolio, inatteso spirito affine: è "(...) una specie di confessione. Prima ad uno spazio bianco; poi ad altri che guarderanno." Trattare il vero. Questo è. Ricetta classica ManzOni.
 
Andrea Barbaglia '12

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