mercoledì 30 luglio 2014

I'M WALKING ALONE

I'M WALKING ALONE
Gabriele Bombardini
- autoproduzione - 2014

L'approccio rilassato di I'M WALKING ALONE non tragga in inganno. Nell'esordio solista di Gabriele Bombardini, talentuoso chitarrista ravennate più volte al servizio di numerosi big della canzone italiana, ci sono molta più inquietudine e struggimento di quanto si potrebbe pensare. La pacata riflessività di una chitarra elettrica spesso ai limiti della fusion rivela in realtà un sottile velo di malinconia e abbandono che va a cozzare contro l'idea di una accomodante appagamento mentale dettato dalle leggiadre melodie prodotte. Se è vero come è vero che la sei corde di Bombardini è la protagonista assoluta di questo cd strumentale (solo in Children compaiono i sintetizzatori analogici di Matteo Scaioli), vale altrettanto la pena sottolineare come la dozzina abbondante di tracce che compongono il platter sia una piacevole opportunità anche per chi non mastica abitualmente questi territori di accostarsi, curioso, ad un materia talmente libera da vincoli e parametri di giudizio assoluto senza il timore reverenziale dovuto ai guitar hero più celebrati. La raffinatezza con cui sono eseguiti episodi tra loro differenti come l'ipnotica Morgana o l'avventurosa Sailing, caratterizzata da un ipotetico cullare costante delle onde, è motivo di innegabile talento da parte del Nostro che, messe da parti per un istante le collaborazioni più disparate, si ritaglia uno spazio tutto per sé: quella camminata in solitaria citata nel titolo del cd in grado di rivelare, un po' per gioco un po' per naturale necessità, umori e sensazioni inespresse. "La sfida - ricorda l'occhialuto chitarrista già al fianco di Adriano Celentano e John De Leo - è stata quella di chiudermi in studio di registrazione e vedere cosa poteva nascere partendo non da brani già strutturati, ma da semplici frammenti musicali e da una ricerca sul suono". Il risultato è una caleidoscopica soggettiva in grado di coprire più dinamiche sonore come se si trattasse di abbracciare con la musica la maggior parte dei colori dello spettro visivo. Un'esperienza terapeutica che è un aperto confronto con sé stessi e la propria anima, capace di liberare, vuotare il proprio io più nascosto in un viaggio a tappe di cui ancora non è stata individuata la meta finale. E se toni malinconici (Is It Cool?) e sostanzialmente algidi (Psychedelic Snow, Shine On Part IV) paiono prevalere assecondando la disarmante e solitaria essenzialità riprodotta in copertina, è pur vero che una condizione di totale indipendenza e autonomia come quella evocata non sopporterebbe emozioni troppo forti o accese. Così, ecco succedersi con un approccio minimalista altri momenti di raccoglimento e meditazione (Idea!, Peace And Love (?), Cyclic Experiment) in grado di sottolineare e tramandare a chi vorrà ascoltare la traccia del proprio passaggio; impronte leggere, color pastello, che si perdono nella risacca marina.  

lunedì 28 luglio 2014

OVERTONES - ELECTRONIC RESEARCH IN NATURAL HARMONICS

OVERTONES - ELECTRONIC RESEARCH IN NATURAL HARMONICS
Mario Conte
- Zoff82 - 2014

Quando la recherche di proustiana memoria modifica i propri propositi e sposta il proprio baricentro verso nuovi interessi e orizzonti spazio-temporali, i risultati possono essere imprevedibili e impensati come dimostra il cangiante flusso sonoro di OVERTONES. La nebulosa di suono che apre l'opera prima di Mario Conte pulsa infatti ritmicamente sulle inconsuete note del sorprendente cupa cupa. Oggetto niente affatto misterioso in terra salentina e lucana, il particolare tamburo a frizione la cui origine si perde nella notte dei tempi viene riscoperto dall'ingegnoso sperimentatore del suono, già a fianco della corregionale Meg, e inserito in un contesto musicale fatto di meccaniche ed elettronica all'apparenza totalmente estraneo. Solo dopo un ascolto attento il lavoro prodotto da Conte - in collaborazione con l'ensemble pugliese In Cupa Trance dell'imprescindibile Pino Basile - rivelerà una comunanza di intenti capace di condensare in un lasso di tempo infinitamente piccolo rispetto all'eternità l'ossessività delle forme ritmiche primordiali con la calda freddezza dei macchinari digitali e analogici. Harmonic Field #1 e la susseguente Harmonic Field #2,  caratterizzata da un disturbante ronzio circolare che sembra inghiottire e digerire ogni altra forma di vita, diventano così le chiavi di accesso ad un mondo sonoro estremamente liquido eppure al contempo totalmente dedito alla concretezza della terra, attraverso la compenetrazione produttiva fra ancestrale e moderno. È un dato di fatto da cui si originano in un secondo tempo tutti gli altri movimenti contenuti in questo piccolo bignami di armoniche naturali registrato in diverse parti del continente europeo. Una reticolata impalcatura liquida pronta a sostenere nuove, mobili, forme di suono plasmate più dalla mente che dai macchinari messi a disposizione dal progresso tecnologico. Una continua riflessione sulla loro mutevole condizione cangiante che, alla chimica e alla sintesi operata da altri soggetti culturali, ha preferito riscoprire le origini della terra, in una commistione fra passato e futuro originante il presente. Quello stesso presente alla base dello sperimentale progetto Phone Jobs, un collettivo di musicisti dedito al recupero di suoni elettronici prodotti da oggetti mobili come cellulari e i-phone ora riciclati per produrre musica. Dove porterà tutto questo è una incognita altrettanto mutevole e cangiante, soggetta a dinamismi sconosciuti e imprevedibilità. Per intanto guardando al tempo e al suo misterioso svolgersi, ci gustiamo il suono roboante, naturalmente straniante eppure così inconsapevolmente noto di Modern Country Side che nella registrazione ambientale libera le sensazioni di un viaggio trascendentale nel suo necessario passaggio fra campi materiali e mondi di pura energia. Una dimensione ultraterrena che solo il recupero delle nostre origini è ancora in grado di esplorare. Oggi come allora.

mercoledì 23 luglio 2014

BSB3

BSB3
Bud Spencer Blues Explosion
- 42 Records - 2014

Il micidiale uno-due assestato con lo scattante singolo Duel, poderoso hard blues elettrico della miglior fattura, e la vorticosa Mama, dilatata e nervosa sarabanda di riffoni muscolari, annunciano alla grande il graffiante ritorno in sala di incisione dei Bud Spencer Blues Explosion. Dopo circa tre anni di silenzio dal precedente album in studio DO IT, ma pur sempre a soli ventiquattro mesi di distanza dal prezioso dvd DO IT YOURSELF - NEL GIORNO DEL SIGNORE che dei BSBE rivelava il lato più acustico sviscerato di lì a poco da Adriano Viterbini nel suo acclamato album solista GOLD FOIL, il duo romano che tanto piace a pubblico e critica sembra aver fatto centro una volta ancora. Offrendo in pasto una formidabile sequenza di camaleontiche rock songs, monumentali e dinamiche insieme, i Bud Spencer hanno saputo presto ritagliarsi uno spazio sempre maggiore all'interno del panorama rock italiano grazie soprattutto a indiavolati live set infuocati e alle indubbie doti tecniche dei musicisti coinvolti. Ora però, forse per la prima volta nella loro carriera, ci troviamo di fronte ad un album più ragionato rispetto al passato recente, strutturato in maniera tale da non lasciar nulla al caso anche e soprattutto in vista della sua trasposizione on stage. Attenzione, non stiamo affermando di esserci ritrovati tra le mani un lavoro studiato a tavolino per ingraziarsi chissà quali nuove fette di pubblico o di addetti ai lavori. Semplicemente in BSB3 si respira un'aura sempre intrisa di zolfo, ma meno lasciata al caso e all'improvvisazione, novità estrema per una band, anzi un duo che vive di queste variabili, capace dunque di esprimere una metodologia lavorativa diversa, più consapevole e matura. Evidentemente una buona parte di merito è giusto tributarla a Giacomo Fiorenza, collaboratore di lungo corso del miglior Moltheni nonché fondatore con Emiliano Colasanti dell'etichetta discografica 42 Records per la quale il nuovo album è stato inciso; tuttavia non ci sarebbe potuto essere un confronto costruttivo e produttivo tra le parti se sull'altro versante della "barricata" l'alchimia fra il già citato Viterbini e il sodale Cesare Petulicchio non avesse trovato il giusto punto di incontro. Così, accanto alle classiche, potenti rasoiate di rock blues inferte con proverbiale precisione chirurgica, emergono dal controllato caos sonoro atmosfere inedite come il morriconiano crocicchio musicale che guarda all'Africa e sviluppato in Camion; oppure registri più rilassati, ma non meno coinvolgenti come invece attestato dalla malinconica Troppo Tardi. E scalpitano, al solito urgenti e dinamiche, le trascinanti scorribande impregnate di epicità, talmente potenti da far impallidire non solo i Black Keys, a cui i BSBE forse un po' troppo spesso vengono superficialmente paragonati, ma anche l'irrequieto Andrew Stockdale che attraverso una manciata di album con i suoi Wolfmother ha saputo riaccendere i riflettori su un suono sporco e verace mutuato dai primi Led Zeppelin. I quali sono inglobati nell'articolata No Soul insieme a Black Sabbath e Hendrix esattamente come accade in Hey Man, ma questa volta con i Nirvana che incontrano i Verdena che incappano neanche troppo accidentalmente nei Rolling Stones a loro volta a spasso con i Negrita (Miracoli). La musica insomma si insinua vorticosa nell'aria e regala anche a questo nuovo capitolo discografico della band capitolina ardite sintesi che ne riaffermano il valore e la sostanziale maturità. L'ennesimo capitolo compiuto di una storia sempre più avvincente e sudata, nata sui palchi di periferia un po' per scherzo, ma capace di evolversi anno dopo anno in una miscela personale unica e riconoscibile, sviluppatasi tra il miraggio del sogno americano e la concretezza della fatica quotidiana. Cercami qui, vicino alle cose semplici mi troverai.

martedì 22 luglio 2014

LA PARTE MIGLIORE

LA PARTE MIGLIORE
Sabrina Napoleone
- Orange Home Records - 2014

Sabrina Napoleone sarebbe senz'altro piaciuta al Consorzio Produttori Indipendenti. Un disco importante come LA PARTE MIGLIORE emana una impressionante forza evocativa, costante  e umorale, che avrebbe sicuramente trovato spazio sul taccuino della premiata ditta Ferretti-Zamboni. Per personalità e intuizioni espresse la cantautrice genovese è una fresca ventata di ingegnosità architettonica nella costruzione della Canzone. Abile infatti a muoversi tra le sette note, Sabrina sa sfruttare il campionario inesauribile messo a disposizione dalla lingua italiana per licenziare atmosfere piuttosto uniche - e il più delle volte alienanti - mai riconducibili ad un solo mondo sonoro, supportate da una naturale propensione alla continua esplorazione del linguaggio e delle sonorità che vanno a pescare tanto dalla tradizione consolidata quanto dalle sfide interculturali aperte dalla globalizzazione. Fatto tesoro anche dei propri trascorsi teatrali, ponendo in costante equilibrio musica e testi, il percorso dell'ex Aut-Aut traccia una lunga strada che pare attraversare diverse epoche senza mai snaturare l'insita contemporaneità che una vita umana contiene. Ci colpisce, chiaroveggente e altera, fin dalle prime note del Fortunello petroliniano rivisitato e corretto nella costruzione quasi gotica di Fire per poi rilasciare, niente affatto sfuggente, la lezione imparata dalle grandi signore della musica. Ma non ci sono numi tutelari: solo grande rispetto e tanta applicazione affinché la potenza del momento creativo fuoriesca sempre diretta, focalizzando l'attenzione ora su una lirica ora su un suono. Al fascino ambiguo di molte sacerdotesse rock Sabrina preferisce una soluzione che sia sempre di impatto. E mai banale. Se all'irruenza di Medusa è facile infatti accostare un tonante basso "maroccoliano" capace di centralizzare l'ascolto, è in È Primavera che si compenetrano canzone popolare occidentale e ritmi arabeggianti al fine di ornare con adeguata misura un testo di durissima attualità politica scevro da retorica e omissis in cui addirittura la Mattinata Fiorentina di Alberto Rabagliati è il sorprendente pretesto per un arguto e stridente attacco al malcostume  e al potere. Politico o ancora meglio, socialmente impegnato è del resto tutto LA PARTE MIGLIORE; anche nei suoi momenti meno sferzanti infatti il cd non teme censure né cerca facili consolazioni attraverso il ricorso a frasi fatte e rime scontate. Insomnia, sghemba e violenta, celebra nuovamente alla luce del sole una nuova liturgia, questa volta fra sangue e piombo, inducendo ad una marcata riflessione tesa a smuovere le coscienze. Ma c'è spazio pure per quell'oscurità luciferina che forse solo Rita "Lilith" Oberti ha saputo davvero cantare con i Not Moving prima e i Sinnersaints poi. Essa emerge sulfurea a colloquio con L'Indovino Islandese e nel luttuoso cantato della classicheggiante Epoché qualche istante prima di evaporare senza quasi lasciar traccia. Grinta, carattere e forti contrasti. Di tutto ciò vive l'esordio solista della Napoleone. Una donna sola a capo di un grande disco, altisonante come il cognome della sua interprete. Una autentica perla da fare propria e conservare gelosamente fino al prossimo appuntamento. Del resto, una volta ancora, garantisce Orange Home.

mercoledì 16 luglio 2014

LUME

LUME
Lume
- Blinde Proteus - 2014

Creatura multiforme questo Lume. Un addomesticato cerbero a tre teste che abita il sottobosco dell'indie rock tra psichedelia e onirismo pop. Nato dall'incontro fra la bassista Anna Carazzai, una vita con i Love in Elevator di cui i Lume potenziano la proposta, e Andrea Abbrescia (altro collaboratore dei LiE) in combutta con il martellante Franz Valente preso in prestito nelle ore d'aria concesse da Il Teatro degli Orrori, l'estemporaneo trio lombardo-veneto ha sviluppato relativamente presto un set di brani che deve aver dato fin da subito una qualche parvenza di potenziale autonomia dai lavori delle varie band di appartenenza. Approfondita la reale tenuta di questo e del materiale proposto in un secondo momento da Valente ci si è accorti di come tutto filasse per il verso giusto senza alcuna forzatura o, peggio, imposizione esterna. Dunque, buona la prima. Nulla di rivoluzionario sia ben chiaro, ma molta energia e una buona dose di improvvisazione, che giocoforza conferiscono una netta percezione di libertà creativa, sono gli ingredienti principali per un pasto rapido eppure sostanzialmente completo. Una batteria "pestona" e un divertito mood da dancing padano da favolosi anni '60 bagnano il singolo Lucky Number, primo episodio su cui fanno capolino alcuni degli ospiti che via via si alterneranno in studio. Marco Fasolo, autore fra l'altro di missaggi e masterizzazione, è il chitarrista aggiunto che porta con sé il compagno di merende Liviano Mos, altro membro della famiglia allargata a comparire nel disco vista la sua militanza tanto negli Love in Elevator quanto nei Jennifer Gentle, alle tastiere. Quelle stesse che imperversano nella sakeesadiana Domino e che trovano un fertile terreno psichedelico in Bye Bye Baby dopo aver remiscelato la cupezza meccanica di Charge, notevole esempio di quello che i Lume potrebbero avere nuovamente in serbo in futuro se continuassero su una strada oscura e irta di asperità metalliche. Aero Bleach sembra omaggiare ciò che fecero i Nirvana con Aero Zeppelin, questa volta prendendo come riferimento iniziale proprio la band di Cobain e compenetrandone la distruttiva forza punk con una progressione rock ruvida e caotica; di contro c'è Elastica, la più melodica delle tracce e forse la meno riuscita, statica e monocorde. Caratteristica abbastanza peculiare del lavoro è il flusso senza soluzione di continuità che lega quasi sempre a coppie di due alcune canzoni, come a voler porre l'ascoltatore di fronte a un intreccio perpetuo tra suoni aspri, distorti, esagitati e paesaggi sonori fatti di lande e territori illuminati da una tenue luce mattutina. E mentre la predominanza delle vocals è a carico di Anna (potenziata dai cori di Elisa Mezzanotte nella piacevole Bad Daughter ed estremamente sicura in Sparks Were Flying)  piace molto l'atmosfera di cupezza che il cantato di Valente sa conferire nei momenti migliori del cd, corrompendo e sporcando gli spiritelli umbratili che sembrano di continuo essere evocati dalle ipnotiche note lambite dalla Carazzai. La sensazione che Lume (la band e il cd) sia però un progetto estemporaneo è costante; che possa esaurirsi nell'arco di un disco o due oppure che tenda ad evolversi per divenire altro ancora poco importa. Detto questo è altrettanto vero che avendo la possibilità, e soprattutto la volontà, di dar vita a un progetto parallelo fatto anche per premiare la costanza di un'amicizia di lunga data è quanto di più duraturo possa esistere. Del resto ciascuno mostra quello che è anche dagli amici che ha.

venerdì 11 luglio 2014

WAVEFOLD

WAVEFOLD
The Whip Hand
- Rock Contest Records/Strawberry Records - 2014

Discepolo della new wave più scura e claustrofobica il giovanissimo trio pugliese dei Whip Hand ha incantato i giurati dell'edizione 2013 di Rock Contest, riunitisi lo scorso dicembre presso l'Auditorium Flog di Firenze, senza essersi prefissati alcun altro obiettivo che non fosse quello di suonare per il gusto di suonare, davanti certo ad un pubblico diverso rispetto al solito, ma proprio per questo magari anche più ricettivo. Di certo ugualmente attento. Per raggiungere questo scopo a Toni, Gianni e Francesco sono bastate una batteria minimale ridotta all'osso, una Fender Jaguar come molte ce ne sono in giro e un basso senza troppe pretese. Queste le armi impugnate con apparente freddezza, ma consapevole dedizione fin dalle eliminatorie fiorentine. E questi gli strumenti con cui sono soliti esibirsi ancora oggi con estrema disinvoltura nei piccoli club di provincia. Alla base una naturale predisposizione all'impegno e al sacrificio, disillusi dai roboanti proclami dell'ormai sempre più collassante music biz e rassicurati dal riscontro degli addetti ai lavori. Collante necessario per la buona riuscita del progetto, di cui WAVEFOLD rappresenta un primo punto di arrivo concretizzatosi grazie ai meriti espressi sul palco della manifestazione organizzata e promossa da Controradio, è una comune eccitazione per tutto ciò che è musicalmente gravitato attorno all'orbita della Londra post punk a cavallo tra fine 70's e prima metà degli 80's e che già si era materializzato nel promettentissimo ep MIST autoprodotto inseguendo un sogno: emanciparsi da ogni tipo di limitazione contingente rivendicando le proprie passioni. Like there is no tomorrow. Andando così ad attingere a piene mani nelle serrate cavalcate dark wave e post punk di fine secolo, tra suggestioni emotive e pulsante rabbia interiore mutuate da Southern Death Cult, Cure, primi U2 e, giusto per restare in terra toscana Neon, Diaframma e primissimi Litfiba, i Whip Hand si tuffano nell'ipnotico vortice sonoro di feedback e marzialità a cui hanno sempre guardato. Qui coadiuvati dai sintetizzatori manovrati da Vincenzo Zingaro, nella stanza dei bottoni del mitico Larione 10 in compagnia di quel Sergio Salaorni che non ha certo bisogno di presentazioni, hanno modo di mettere in bella copia anche i pezzi più datati come A, Like Water e Arm per quello che risulta essere un propedeutico viaggio sonico nel passato iniziato in un'epoca ancora precedente e, data la sospensione evocata anche dalla brevità dei titoli scelti, senza tempo. Basso lineare sempre ben in vista (Try, Lost), voce cupa e ansiogena lievemente effettata e chitarra mai invadente, ma presente: la ricetta sembra semplice, ma non è affatto così scontata. Il pericolo di cadere in un inutile manierismo è infatti sempre dietro l'angolo; un rischio evitabile solo quando le coordinate non sono studiate a tavolino, quando non si teme la caduta e non si ragiona in quell'ottica. Una eventualità presto fugata quando in gioco si mettono forze diverse che necessariamente trovano un linguaggio comune, all'apparenza anche meccanico, con cui comunicare e trasmettere emozioni. Basta seguire la strada e prima o poi si fa il giro del mondo.

mercoledì 9 luglio 2014

DISGUISE OF THE SPECIES

DISGUISE OF THE SPECIES
Glass Cosmos
- autoproduzione - 2014

Non c'è che dire. Alta qualità per i Glass Cosmos. Fin dalla copertina sembra abbastanza evidente che nulla sia stato lasciato al caso dal combo nato sulle ceneri dei Cheap Mondays. Quando mai trovi infatti una band che al disco d'esordio decide di affidarsi ad un quadro di Magritte per veicolare anche visivamente la propria musica? Rielaborato graficamente dall'amico Alessio Caglioni, bassista dei corregionali Last Fight, il pesce-sirena tratto da L'illusione collettiva è, nelle intenzioni della band bergamasca, lo specchio dei tempi in cui si riflette l'atteggiamento di molti giovani artisti, o più verosimilmente presunti tali, che pur di ottenere una fugace visibilità nell'immediato e, come si suole dire, "ballare anche una sola estate", rinunciano ben presto ad approfondire e sviluppare il lavoro sulle proprie abilità ricercando nel rintronante tepore del calderone mediatico il consenso effimero, l'applauso mondano, l'ossigeno corrotto per restare a galla un istante ancora prima di venire risucchiati dal gorgo dell'oblio permanente. Cambiare per non cambiare mai. Una metafora del nostro quotidiano, presto estendibile a molte realtà dell'agire umano. A questa mancanza di progettualità a lunga gittata rispondono con tutte le loro forze la voce di Frankie Bianchi, la chitarra di Florian Hoxha e il basso di Francesco Arciprete che, in compagnia dell'ultimo arrivato Matteo Belloli alla batteria, si prodigano nella realizzazione di un lavoro potente e spumeggiante insieme, per nulla facile alle lusinghe superficiali e al consenso temporaneo, ma piuttosto ben radicato nella appartenenza ad un contesto di spessore, lontano dalle mode del momento e che mal si coniuga con le trattazioni sbrigative. Con una eterogeneità di fondo che in questi casi non guasta mai, l'esplosione di energia rilasciata dalla sfavillante Milestone ci fa capire che i tempi della passata esperienza musicale sono pressoché finiti - fatta eccezione per il retaggio indie rock molto British di A Slim Pixie, Thin And Forlorn, titolo preso in prestito da una lirica contenuta nell'oscura Crowds dei Bauhaus - mentre si staglia all'orizzonte una riuscita miscela di hard (It Won't Be Long Till Dawn, Redemption Is A Pathway To Nihilism) e vorticosa "new noise wave" (l'introspettiva O Tempora, O Mores, il singolo Chrono) consolidata da ariose melodie pop che toccano il loro vertice nell'utopica Libreville e nella visionaria New Shores. Una naturale attitudine emo, condita da fiammate post punk, completa (e distorce) poi il tutto. Con cognizione di causa e determinazione. Se davvero crescere significa mettersi in discussione, accettare critiche, scambiarsi idee, confrontarsi i Glass Cosmos fissano con DISGUISE OF THE SPECIES la pietra angolare su cui poggiare ogni successiva mossa alla ricerca di quella espressività sincera che rifugge maschere e camuffamenti, rivela passioni oscure, ma ardenti e libera l'individuo. Il sacro fuoco dell'Arte insomma. Il principio che espone il fine. Per essere e non per apparire.

martedì 8 luglio 2014

da COSTELLAZIONI

I DESTINI GENERALI
- Le Luci della Centrale Elettrica - 2014
 

 
Regia e animazione di Michele Bernardi
Danzatrice: Alice Guazzotti

venerdì 4 luglio 2014

ALIBI

ALIBI
GBU
- autoproduzione - 2014

A raccontare le vicissitudini degli GBU non basterebbe probabilmente un libro. Nati nell'inverno del 2010 per volontà del cantante-chitarrista Luca Iaconissi, negli anni a venire sarebbero ben presto andati incontro a costanti cambi di organico che tuttavia non ne avrebbero modificato eccessivamente la ragione sociale, ma semplicemente rallentato la produzione discografica. Frutto di quattro anni di lavoro ALIBI è il disco d'esordio per il trio friulano che dopo un primo omonimo ep conoscitivo, dal quale vengono qui riproposti in versione uploadata tre pezzi, riescono finalmente nell'intento di dare alle stampe un biglietto da visita più corposo ed articolato. Come tutte le prime volte che si rispettino anche questo lavoro è il raccolto in musica di quanto seminato in sala prove e on stage dalla giovane formazione tolmezzina in quasi un lustro di esistenza. E se la sua passione per i grandi classici del rock inglese anni '70 va a braccetto con l'ondata grunge di inizio anni '90 sarà opportuno prepararsi a una scarica di decibel smorzata da una certa psichedelia sghemba e anfetaminica mutuata da Jennifer Gentle e Syd Barrett. Se è vero poi che gli album capaci di mischiare troppi umori sono spesso pericolosi per chi li fa prima  ancora che per chi li ascolta, i GBU cercano di andare sul sicuro proponendo, tra citazioni più o meno scoperte, un suono robusto (la carica di Charlie è la risposta italiana a Go dei Perl Jam) che sappia unire sudore e mestiere, ma anche visceralità punk e un'ortodossia rock di spessore, nell'intento di scrivere una musica "che possa piacere tanto ad un pubblico non musicofilo quanto ad un ascoltatore più attento e musicalmente più colto, cercando di non chiudersi in uno schema e non fermarsi ad un genere". Così il Good, il Bad e l'Ugly si sono espressi nelle note di presentazione alla stampa allegate al cd. Per cui se alla foga sincopata di Blue fa da contraltare l'interludio strumentale concentrato nel minuto e mezzo di Feeble Flame, sospeso e oniricamente prog, non si resti spiazzati; è semplicemente la volontà dei tre ragazzi di dar vita ad un puzzle sonoro di gran prospettiva, supportato da tante idee e più adeguati mezzi rispetto al passato. Il bagaglio mostrato nell'abbondante mezz'ora che dà vita a questo ALIBI comprende poi tutto un repertorio di formule e suoni capaci di andare dal funky-garage della già nota Problems, con il suo ritornello che rimanda all'inquietante Alice Cooper di Black Juju, fino ai Red Hot Chili Peppers di BY THE WAY, ma con Frusciante al posto di Kiedis dietro al microfono, omaggiati in Cigarettes, passando per l'inatteso snippet metallico di una rallentata Can't Take My Eyes Off You contenuto nell'agitato caos stilistico di Circus. Arrivati a Last Will il pensiero corre rapido al camaleontico trasformismo che solo i Faith No More hanno saputo sviluppare in maniera credibile costruendo una gloriosa carriera a suon di dischi imprescindibili. Ora, non che i GBU siano i più diretti emuli di Patton e soci, ma senza dubbio la facilità con cui hanno saputo esprimersi li mette davanti ad un (piacevole) bivio: continuare nella patchanka sonora tout court continuando a sfornare idee e riff utili per costruire un birignao di qualità oppure convogliare le proprie energie e indirizzarsi verso un sound, riconoscibile e peculiare, che permetta loro di maturare e ritagliarsi uno spazio certo e sicuro. Bizzarri, ma con cervello.

giovedì 3 luglio 2014

VIA CRUCIS

VIA CRUCIS
Karenina
- autoproduzione - 2014

Buone notizie da Bergamo e dintorni. Tornano i Karenina con un album che supera di slancio i precedenti lavori proposti nel recente passato dopo l'abbandono dell'antico moniker Triste Colore Rosa. VIA CRUCIS è difatti il disco che mancava, quello meritevole di attenzione, senza dubbio il più completo e maturo, forse paradossalmente il più rischioso nella fin qui breve avventura discografica dei Nostri. Mandata a memoria la lezione degli Amor Fou, veicolata da una altrettanto efficace capacità di narrazione metropolitana, ma supportata da una maggior violenza sonora che qua e là riprende i Negramaro degli esordi, la tensione emotiva che pervade i solchi del vinile nelle nostre mani emerge in tutta la sua dinamica ed esplosiva concatenazione di eventi. Quella che ha portato ad avere in meno di un decennio un paese in recessione, con il 41% dei giovani disoccupati e un confusionario malcontento generale figlio di scelte sbagliate e diffuse incapacità gestionali. Questo è l'humus, il contesto in cui si consumano disturbanti e sanguinari fatti di cronaca provinciale (20 Novembre 2010, 26 febbraio 2011) dati smodatamente in pasto - proprio per lo sconcertante relativismo di cui sopra - a becere cagne del teleschermo che latrano concupiscenti tra una telepromozione e l'ennesimo ammiccamento senza vergogna. Si impone una riflessione. E una nuova esposizione. Se necessario addirittura il silenzio. Così deve aver pensato il quintetto di Francesco Bresciani che, partendo da tutto questo sistema feroce e disumano, è riuscito poco per volta a isolarsi dallo stagnante frastuono mediatico, continuativo ed esasperato, per mettere in musica un non facile spaccato di ordinaria follia. Con una presa di coscienza sociale che fa di VIA CRUCIS un album politico - niente affatto partitico - nella sua sensibilità più popolare, lontano da pretenziose mire giustizialiste, ma ampiamente "dentro" la vicenda raccontata con discrezione e rispetto. Romanzata come si conviene, tra rabbia e candore adolescenziale. Spiace che per trattare argomenti difficili ci si debba muovere una volta ancora autonomamente, ma a quanto pare anche solo evocare con un racconto la figura di una ragazzina massacrata suo malgrado a pochi metri da casa spaventa pure chi non ha responsabilità oggettive nei crimini eppure teme di dispiacere un'opinione pubblica abulica rilasciando un elaborato artistico che si avvale delle trovate grafico-espressive di Roberto Pesenti. Se non altro ciò che si perde a livello di mezzi e risorse promozionali si guadagna in termini di libertà, espressive e gestionali. Così i Karenina fanno di necessità virtù anche da un punto di vista commerciale decidendo di supportare le undici stazioni del disco con una formula certamente ragionata anche quando audace: quella del download gratuito su tutti i propri spazi web, con la vendita del vinile (con cd-r allegato) relegata ai soli concerti. Scelta controcorrente che meriterebbe non solo il plauso del pubblico, ma anche il suo sostegno concreto perché la visione globale offerta attraverso il rinnovamento di consolidate formule rock e un tormento narrativo da concept album è testimonianza di una vivace attività culturale non così scontata al giorno d'oggi. Una goccia di spazio infinito a portata di mano.