mercoledì 15 ottobre 2014

DREMONG

DREMONG
Max Manfredi
- Gutenberg Music - 2014

"DREMONG sarà un album prodotto da me, dai miei musicisti, dal fonico, da tutti coloro che stanno dedicandovi tempo e lavoro... e da voi, da tutti voi che mi seguite, amate le mie canzoni o ne siete incuriositi e pensate che valga la pena che io continui a comporle e a cantarle." Così si esprimeva esattamente un anno fa il sempre raffinato Max Manfredi sul portale di crowdfunding Musicraiser nell'annunciare la lavorazione del suo sesto album realizzato con i contributi diretti di sempre più attenti e numerosi appassionati. Erede diretto di una certa lezione artistica tutta genovese che ha saputo fare scuola nel tempo, versificatore libero, cantautore di lusso e molto altro ancora, Manfredi arriva all'appuntamento con il disco più rock della sua carriera musicale in una fase della propria vita ampiamente votata alla ricerca e alla curiosità. Per una musica di confine ci vuole una persona che di vincoli e limitazioni ne abbia sempre meno rispetto alle regole imposte dalla società; che sia in grado di lasciarsi coinvolgere da quanto la vita gratuitamente offre e abbia intenzione di sviluppare uno sguardo acuto e curioso sull'ignoto. Non necessariamente un Ulisse dantesco, ma un Piccolo Principe sempre aperto alla meraviglia anche se ormai adulto. E un po' orso. Solitario, sfuggente, alieno a logiche basate opportunisticamente sull'avidità, attento e sensibile. Girovago per vocazione e nomade per istinto. Un raro esempio di duttilità e prudenza insieme. Tutto ciò porta oggi sulle tracce di Dremong, l'orso dal collare, nella cruda realtà quotidiana a rischio di estinzione perché da sempre cacciato e torturato per l'estrazione della sua bile ritenuta dalla medicina tradizionale cinese ingrediente afrodisiaco e curativo; orso della luna, che la tradizione giapponese associa agli spiriti delle montagne, ma anche - nell'invenzione artistica operata da Manfredi - simbolo, trasfigurazione, totem di un mondo assai più vicino a tutti noi. Le canzoni contenute in DREMONG non sviluppano un concept album eppure, nella loro eterogeneità di suoni e parole, garantiscono una circolarità di argomentazioni esatte e potenti. Genova è una volta ancora il punto di partenza, ma anche quella finestra spalancata su mondi lontani, esotici e misteriosi, conosciuti spesso solo per sentito dire, ciononostante restituiti all'ascoltatore con una adesione al vero che forse solo Salgari seppe tracciare nei suoi racconti d'avventura. Affiancato da un folto numero di strumentisti Manfredi cammina tra le strade di Finisterre, si lascia purificare dalle Piogge stagionali, ricorda gli Anni 70 e osserva tutto attorno a sé: dal nuovo riflusso che verosimilmente annienterà le effimere promesse di felicità (Disgelo), alla struggente malinconia imperversante in pieno conflitto bellico (Castagne Matte), in un viaggio lento e inevitabile dove inquietudine, disaffezione e memoria la faranno da padrone. Lo sapeva bene il professor Martin del romanzo Di tutte le ricchezze: "Di Rimbaud o di Thelonious Monk ne nasce uno al secolo; la giovinezza non vuol dire necessariamente genialità, il talento va coltivato, è un artigianato." Così come per la scrittura anche della musica "si impara ad avere una visione diversa. Non solo il lampo dell'ispirazione, ma il duro lavoro, la ricerca continua del meglio. Tagliare, ricucire, ripartire. La falegnameria dell'intellettuale. Come san Giuseppe." E come Max Manfredi. Per dirla con le parole di De André: il migliore di tutta una generazione.

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