venerdì 9 gennaio 2015

CANCIARI PATRUNI 'UN E' L' BITTA'

CANCIARI PATRUNI 'UN E' L' BITTA'
Salvo Ruolo
- Controrecords - 2014

C'è una saudade tutta italiana che accompagna una buona fetta di musicisti meridionali trapiantati nel nord del Paese. Forse il caso più eclatante degli ultimi anni è quello dell'intraprendente Cesare Basile che all'indomani di una permanenza milanese fattasi forse un po' troppo uguale a sé stessa e priva di reali sbocchi creativi, abbandona tutto e, investito da nuovi stimoli, con una consapevolezza nuova, ritorna nella Trinacria natia dedicandosi a 360 gradi non soltanto nella produzione di lavori sempre più densi e significativi, ma proponendosi quale mente strategica per tutta una serie di attività artistiche confluite ne L'Arsenale, preziosa "federazione che raccoglie singoli, associazioni ed imprese, allo scopo di promuovere e tutelare le professionalità in ambito musicale ed artistico". Salvo Ruolo, originario di Barcellona Pozzo di Grotto, ma con dimora nella Padova dei giorni nostri, si pone sulla scia di quanto teorizzato prima e messo in pratica poi dal conterraneo Basile, valutando incredibilmente prezioso ed impagabile per il genere umano dedicarsi ad un lavoro all'apparenza effimero e volatile come possono esserlo le attività di concetto o la composizione di musiche, ma in realtà duraturo e permanente, in grado di prevalere sulle caducità temporali e sedimentarsi addirittura nella Storia. Autore già dell'interessante e consigliatissimo VIVERE CI STANCA, il cantautore siciliano torna sulla scena del crimine proponendo un secondo album che scava in un passato risorgimentale non nuovo per chi ha avuto a cuore la questione meridionale fin dalle sue origini, e ponendo l'accento su figure secondari assurte al ruolo di exempla non necessariamente sempre positivi, ma in grado di dare ampia credibilità a considerazioni e sentimenti nell'ottica di vinti e sconfitti; gli ultimi per intenderci, quelli che il più delle volte pagano la riuscita della storia ufficiale con la propria vita. Ciò al cospetto del quale siamo è dunque uno spaccato di storia d'Italia, musicato da Ruolo in compagnia di una pattuglia DOCG capitanata - e non poteva essere altrimenti - da Cesare Basile, che con il supporto della lingua siciliana antica (quella "studiata su vocabolari come il Mortillaro, cercato affannosamente e trovato in Canada, oppure sui racconti del grande linguista e medico palermitano Giuseppe Pitrè") entra nel retaggio culturale di chi ha davvero a cuore la sua terra e sa come restituire in questo nuovo millennio il ricordo antico di una Sicilia amara, quella delle lotte contadine, delle baronie agrarie, dell'analfabetismo e della miseria eppure non priva di valori codificati culturalmente. Quella la cui saggezza popolare è monito quando ricorda che cambiare padrone non dia mai la vera libertà; quella indirettamente finalizzata a raccontare l'epopea di una futura nazione sempre in bilico fra unità e malaunità. Un apparato destinato a sgretolarsi forse solo con la diffusione della cultura, con l'istruzione veramente obbligatoria per tutti, con il miglioramento delle condizioni generali della società. Ma Ruolo non vuole che questo folk blues di cui si fa interprete abbia una funzione consolatrice. Semplicemente, egli intona i suoi racconti alla visione di una nuova vita e di una nuova storia. Canzoni cantate ad alta voce portate dal vento. Per non dimenticare da dove veniamo e non averne troppa nostalgia.

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