venerdì 16 gennaio 2015

DISORDINI

DISORDINI
Hikobusha
- Seahorse Recordings - 2014
 
Reduci. Non lo siamo forse un po' tutti? Gli Hikobusha, nel cui nome si avverte la storpiatura della parola giapponese hibakusha in crasi con il ben più lombardo bauscia che tradisce l'origine brianzola del quartetto, non hanno mai fatto mistero di sentirsi dei veri e propri sopravvissuti, per nulla miracolati, di fronte all'imbarbarimento contemporaneo delle nostre città. All'avanzare del Grande Freddo socio-culturale la formazione di Davide "Gammon" Scheriani ha creduto opportuno indagare le nevrosi dell'essere umano, individuo socievole e aperto al dialogo quando anche vuoto e privo di contenuti, ma ragionevolmente solitario ed ermetico, "rattrappito" nelle dinamiche più intime che lo riguardano. DISORDINI è il terzo album di una carriera ormai decennale che ha saputo far fronte a mutamenti e gestazioni di organico importanti anche quando dolorosi, utili a definire un percorso sempre in costante evoluzione e, di contro, a impedire una discesa altrettanto spedita nella lordura discografica. Guardando al Thin White Duke come nume tutelare, assorbendo energie da tutta una complessa estetica mitteleuropea anni '80 e innestando su di essa massicce dosi di elettricità rock capaci di lavorare anche per sottrazione, il guerriero Hikobusha avanza nel nuovo magma di stranezze e suggestioni apparentemente prive di logica che lo circondano; immagini e stereotipi insoliti, ma frusti che l'abitudine tende a incensare e a proporre come plausibili dopo averci offuscato i sensi. La sopravvivenza è la sua missione. Nient'altro. Per ottenerla occorre scardinare queste convenzioni polimorfe date ciononostante per assolute e definitive, sospendendo una volta per tutte il giudizio e ripartendo da zero. Se l'Arte serve a pulire lo sguardo sarà essa stessa l'arma in mano ai Nostri, anche quando gelide impalcature strutturali tenteranno di spersonalizzare il pensiero. Ad introdurci in questa dimensione di cantautorato alternativo tra minimalismo e amplificazioni analogiche ci pensa la voluttuosa Obliquità, singolo realizzato con la partecipazione della camaleontica Monica P, a metà strada fra i Ritmo Tribale di Sogna e il carneade Erz della dimenticata Whore. Da qui in poi, salvo qualche manierismo new wave di troppo e una quasi maniacale selezione di termini desueti e ricercati che rallenta solo in parte la fruibilità della proposta, sarà una discesa costante e mirata nei gironi di un subconscio complesso e frammentario, attraversato dal cantato/recitato di Gammon dove alla raffinatezza linguistica ostentata verranno applicate con metodo trame sonore sospese e irrisolte, ideale sintesi tra la consapevolezza di un agire accettato come sfogo anche violento e la sua relativa vertigine. Spazi vuoti da riempire e fame per l'ignoto: queste le spinte propulsive per un lavoro meditabondo che si insinua a mo' di cuneo in un meccanismo lucido e paradossalmente universale, fatto di fallimenti esistenziali, ferite perfette e nere dipendenze. Uno scarto di cinematografica civiltà post moderna a cui forse solo Il Meraviglioso Ragazzo Invisibile saprà dare una risposta adeguata ricomponendone vizi e virtù; l'essenziale è non avere ora fretta di capire. 

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